Instabilità di spalla
La spalla è l’articolazione più mobile del corpo umano e quella che più frequentemente può andare incontro ad una lussazione, ovvero la fuoriuscita completa della testa omerale dalla glena scapolare. Le lussazioni di spalla rappresentano il 45% di tutte le lussazioni e ciò si verifica perché tale articolazione è incongruente dal momento che la superficie della testa omerale è quattro volte più grande di quella della glena scapolare.La stabilità di questa articolazione risiede principalmente nelle strutture capsulo-legamentose e muscolo-tendinee. Si distinguono degli stabilizzatori statici (cercine glenoideo e legamenti gleno-omerali) e stabilizzatori dinamici (cuffia dei rotatori e capo lungo del bicipite) che agiscono in maniera coordinata tra loro mantenendo la stabilità articolare nei vari gradi di movimento. La disfunzione o la lesione di una di queste strutture può portare ad una instabilità dell’articolazione.

Cause
L’instabilità di spalla si verifica nella maggior parte dei casi a causa di evento traumatico (lussazione). Può essere anche conseguenza di una iperlassità articolare dovuta a micro-traumatismi ripetuti nel tempo (particolari attività lavorative e sportive), senza che si verifichi obbligatoriamente una lussazione.I pazienti maggiormente affetti da instabilità di spalla sono quindi i giovani sportivi, in particolare coloro che praticano sport da contatto come il calcio, il rugby e il basket o quelli di lancio come la pallavolo e la pallanuoto. Queste condizioni inducono una serie di lesioni a carico delle strutture capsulo-legamentose (cercine glenoideo e legamenti gleno-omerali), ossee e tendinee che rendono la spalla maggiormente instabile e possono condurre a sublussazioni (fuoriuscita parziale della testa omerale dalla glena scapolare) e lussazioni recidivanti.
Sintomi
Il paziente affetto da instabilità di spalla spesso riferisce di aver riportato un trauma più o meno significativo con successive sensazioni di spostamento dell’articolazione o addirittura diverse lussazioni nel corso della sua vita, che nei casi più severi si verificano anche durante lo svolgimento delle normali attività quotidiane e talvolta nel sonno. Il dolore è un sintomo tipico della patologia, attribuibile in prima istanza alla lussazione dell’articolazione ed in secondo luogo alla lesione delle strutture capsulari. Altri importanti segni dell’ instabilità di spalla sono l’incertezza e l’apprensione: il paziente avverte il timore di eseguire particolari movimenti che evita istintivamente, percepisce una fastidiosa sensazione, come se la spalla fosse sul punto di lussarsi, e di conseguenza tende a retrarre e proteggere l’arto.
Diagnosi
Lo specialista ortopedico andrà a ricercare, tramite test clinici specifici, i segni e sintomi classici dell’instabilità di spalla (dolore, apprensione ed iperlassità articolare) ed a determinare la direzione in cui essa si lussa o si sublussa. Successivamente provvederà a prescrivere al paziente una serie di esami strumentali utili all’inquadramento della patologia e fondamentali per la pianificazione dell’iter terapeutico.La radiografia è il primo esame che solitamente il paziente esegue quando si reca in Pronto Soccorso in seguito a una lussazione: è importante per verificare che la spalla sia correttamente in sede ed è utile per ricercare la presenza di distacchi ossei che frequentemente si associano a questo tipo di patologia, come ad esempio la Bony Bankart (distacco di un frammento osseo dalla glena scapolare) o la lesione di Hill-Sachs. La Risonanza Magnetica eseguita mediante l’iniezione di mezzo di contrasto intra-articolare (Artro-RMN), è sempre indicata per i pazienti più giovani e ne evita l’esposizione ai raggi X ed è un esame fondamentale poiché permette di riconoscere il danno delle strutture capsulo-legamentose, osservare la ridondanza capsulare ed individuare le eventuali lesioni tendinee ed ossee associate. Un eventuale esame TAC (Tomografia Computerizzata) è molto utile per quantificare il danno osseo glenoideo e/o omerale ed indirizzare il chirurgo verso un eventuale intervento artroscopico o a cielo aperto.
Trattamento
1) Il trattamento iniziale può essere di tipo conservativo e consiste, nei pazienti con ridotte richieste funzionali, nell’immobilizzazione dell’arto in tutore seguito da un programma fisioterapico adeguato e personalizzato volto alla ripresa della mobilità e della funzionalità articolare. Tuttavia questo tipo di trattamento, soprattutto nei pazienti più giovani, non è spesso risolutivo in quanto permane una condizione di limitata funzionalità della spalla.
2) Intervento in artroscopia. Recenti studi hanno dimostrato come l’intervento chirurgico fornisca i migliori risultati se effettuato già dopo il primo episodio, specialmente se il paziente è giovane: sfruttando la buona qualità delle strutture capsulo-legamentose e l’assenza di un grave deficit osseo glenoideo ed omerale è possibile riparare in modo anatomico le lesioni provocate dalla lussazione ripristinando la stabilità articolare. Ciò viene effettuato con un intervento mini-invasivo eseguito in artroscopia, la capsuloplastica anteriore o intervento di Bankart (figura 3), che consiste nella riparazione della lesione del labbro glenoideo ed il ritensionamento capsulo-legamentoso mediante l’uso di ancore inserite nella glena scapolare.
Post-operatorio. Il paziente è solitamente dimesso il giorno successivo all’intervento. Il braccio viene immobilizzato in un tutore per il primo mese post-operatorio al fine di permettere la guarigione deli tessuti riparati all’osso. Verrà impostato un successivo protocollo fisioterapico specifico mirato al recupero della mobilità, della forza e della funzionalità dell’arto operato. Gli esercizi specifici vengono effettuati inizialmente sotto la guida del fisioterapista e successivamente sono proseguiti autonomamente dal paziente.
3) Intervento a cielo aperto. Nei pazienti affetti da instabilità recidivante di spalla, le ripetute lussazioni o sublussazioni possono portare sia ad un peggioramento della qualità del tessuto capsulare e legamentoso sia ad un progressivo difetto osseo della glenoide scapolare (critico se superiore al 25% rispetto alla glena sana). In questi casi il trattamento artroscopico e la riparazione anatomica delle strutture lesionate non è sufficiente a ripristinare la stabilità articolare perciò si preferisce indirizzare tali pazienti verso un trattamento di “bone block” (innesto osseo) a cielo aperto come l’intervento di Latarjet, che prevede un’incisione cutanea di circa 6-8 cm sul versante anteriore della spalla ed il ripristino della stabilità della stessa tramite la trasposizione, a livello della glena scapolare, della coracoide e del tendine congiunto.
Post-operatorio. Questo intervento, nonostante la maggior invasività, fornisce ottimi risultati clinico-funzionali ed ha all’incirca le stesse modalità e gli stessi tempi di recupero della capsuloplastica artroscopica.